Tra i simbolici oggetti, arroccati insieme a moltitudini di libri su gli scaffali del mio studio, trova un posto privilegiato la “Olivetti Lettera 32 portatile” con la quale vedevo e sentivo scrivere mia madre. Questa macchina, reale recente storico cimelio rappresenta oltre l’intrinseco valore affettivo, riferito a quanto sopra espresso, rappresenta per me un vero e proprio “totem del tempo che scorre”.
La tengo nel mio ufficio e la lascio lì ad osservarmi mentre scrivo veloce sul mio computer. Ogni tanto alzo la testa, la guardo a mia volta, e la vedo “sorridermi” benevola, quasi fosse una madonna della scrittura.
La lettera 32 era piccola, maneggevole. Rumorosa, ma praticamente indistruttibile.
Marcello Nizzoli, la mente che nel 1963 l’aveva progettata – genio del design e devoto discepolo di Fortunato Depero – disegnandola, le aveva voluto imprimere un’anima futurista fatta di linee semplici e essenziali. Forse anche per questo suo cuore palpitante di un ticchettio meccanico e tutto proteso verso l’Avvenire, osservarla, per me, significa riflettere sul tempo, su quelle gestualità passate che dovremmo, in qualche modo, riuscire a portare con noi nel futuro in altra forma.
I computer che hanno sostituito oggetti come la mia amata Olivetti hanno rivoluzionato un mondo, e con esso il modo stesso di pensare e di scrivere. L’irriverente scrittore americano Una Lettera 32, invece, richiedeva tempo. Non bastava scrivere, bisognava spostare il rullo ogni volta che si andava a capo, fermarsi a cambiare la carta, il nastro, sistemare la meccanica dei tasti quando si incastravano, gettare il foglio e ricominciare quando si sbagliava…una Lettera 32 richiedeva tempo, ma, ci regalava il tempo dei gesti. Metterci il doppio per fare una cosa garantiva delle pause fisiologiche in corso d’opera che ci permettevano di pensare e riflettere bene su quel che stavamo facendo.
Lo stesso avveniva con la rirproduzione dei progetti, disegnati con riga, squadra, matita e ripassati poi a china. Riprodurre un elaborato progettuale oggi, invece, grazie ai mezzi tecnologici di cui disponiamo, è un processo estremamente più rapido. Talmente rapido da permetterci, o dal farci sentire quasi tentati, di staccare il gesto dal pensiero, rischiando di produrre non-sense, prodotti troppo poco metabolizzati e quindi a rischio di carenza contenutistica.
Il mio progettare, al contrario, vive del tempo dei gesti e delle idee.
Bruno Munari, altro maestro di spicco del design, amava spiegare che “albero è la lenta esplosione di un seme”, lo stesso concetto è utilizzabile per definire la mia concezione di processo creativo. La riproduzione di un progetto è, infatti, la lenta esplosione di un’idea-intuizione. Un’idea-intuizione che, per crescere rigogliosa, va coltivata – proprio come si fa con un seme che vogliamo far diventare albero – utilizzando tutte quelle cure e attenzioni che solo il tempo del pensiero e della riflessione sa donare.
E allora, il mio consiglio è: accendete il computer, scrivete, create, entusiasmatevi per la velocità e l’immediatezza dei mezzi che abbiamo a disposizione, ma concedetevi sempre anche il lusso di fermarvi a pensare e a riflettere.
Siate generosi con voi stessi e regalate alla definizione dei vostri progetti futuri un po’ di quel tempo che era proprio delle gestualità del passato.
Buon lunedì.
Simone Micheli
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