Ascoltare il ritmo del mondo

Nell’antichità si aveva l’accortezza di considerare il mondo umano come indissolubilmente legato al mondo naturale. Un cataclisma era un evento che sconvolgeva i raccolti, ma, ancor di più che fungeva da monito, vuoi per superstizione popolare, vuoi per un istinto radicato nell’anima in grado di donarci quel senso del limite che sembriamo aver perso. Qualsiasi cosa accadesse era un segno, un tacito ricordarci che, nonostante le nostre ambizioni umane e “troppo umane”, per dirla con Nietzsche, era fondamentale guardare al mondo con rispetto e reverenza.
Oggi, in un’epoca tempestata di notizie e di rumore, dove è l’evenemenziale a farla da padrone, dove tutti strillano e pestano piedi per essere ascoltati, viviamo in una sorta di costante “al lupo, al lupo” e questi segni che gli antichi Greci, Egizi e Romani consideravano suggerimenti venuti dall’alto per ricordarci di rispettare il mondo attorno a noi, sembrano non esistere più.
Fatti eclatanti scorrono giorno dopo giorno sotto i nostri occhi, alla tv, sulle pagine dei giornali e si riducono troppe volte a nulla più che rumore e dolore. “Rumore” per chi non è coinvolto nella cosa in prima persona e “dolore” per chi, invece, ha avuto la sfortuna, quella volta, di esserci capitato in mezzo.
Ora, non si tratta di promuovere una rinnovata superstizione che ci faccia spaventare per ogni fulmine caduto troppo vicino alla nostra capanna, ma è evidente dalle recenti cronache che non si possa più far finta che il mondo non esista, che sia semplicemente un timido servo che china docile la testa al passare dell’uomo.
I soliti Greci che mi ostino a citare avrebbero parlato di “tracotanza”. Altre correnti religioso-filosofiche avrebbero definizione che andavano da “segno” a “punizione” divina.
Ultimo caso di cronaca che, sull’agire dell’essere umano, fa riflettere è il naufragio  della nave da crociera “Costa Concordia”.
In questo evento a volerne vedere di segni da tenere in considerazione ce ne sono fin troppi. A noi ne basteranno due:
Lo sapevate che il contrario della “tracotanza” a cui prima facevo accenno è proprio il concetto di “concordia”?
Avete notato che l’affondamento del Titanic è avvenuto esattamente 200 anni fa? Era il 1912.
E allora di cosa ci parlano le cronache? Del naufragare dell’antica concordia? Della rottura di un equilibrio che sembrava sorreggere il mondo? O del fatto che siamo arrivati a costruire strutture economiche, politiche, meccaniche e architettoniche talmente grandi e imponenti, “titaniche” per dirla con un gioco di parole, da non essere più adeguate e realizzate ad hoc per il mondo in cui viviamo?
Non possiamo pretendere di muoverci su questa terra senza rispettarne i suoni e le armonie. Progettare e realizzare qualcosa è sempre avere senso del ritmo. Di quel ritmo che sottende il mondo e che ci chiede di fare scelte etiche e sostenibili per andare avanti, vento in poppa, verso il futuro. Scelte che, oggi, richiedono di prendere consapevolezza delle misure e delle esigenze dell’ambiente che ci circonda.
L’imponenza di una nave che ha preteso di avvicinarsi troppo a una costa senza avere le caratteristiche per occupare quel luogo è un’immagine forte che, oltre a colpirci al cuore, per l’evidente tragedia che si sta consumando sulle coste della mia amata Toscana, ci fa riflettere anche su un necessario “cambio di filosofia”. In ogni campo del progresso umano è ormai necessario dar via a una nuova era, dove si possa creare un futuro carico di quell’umanità di cui era intriso il mondo antico e allo stesso tempo migliorato da quel progresso che, se coniugato con intelligenza, può essere sinonimo di qualità del vivere, non di rigidi titanismi che goffamente finiscono con il calpestare i luoghi e le preziose unicità degli individui.

Simone Micheli

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Un commento Aggiungi il tuo

  1. icittadiniprimaditutto ha detto:

    Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

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