Quando “Il Park Hotel ai Cappuccini” era un cantiere di domande

Un paio di giorni fa sono andato a Gubbio per un incontro al Park Hotel ai Cappuccini. Ho provato un leggero fremito al ricordo di ciò che successe il giorno che visitai per la prima volta il cantiere del “Parco acque ai Cappuccini”, quando lo spazio su cui stavo camminando non c’era ancora.

“ […] Al mio arrivo ci fu l’assalto: il direttore di cantiere, gli impiantisti, gli operai stessi mi accerchiarono esponendomi infiniti quesiti circa la risoluzione di problematiche connesse al corretto avanzamento dei lavori. Ricordo ancora la sensazione di tremolio all’interno del mio corpo provocata dalla scarica di domande, alle quali per lo più non sapevo rispondere». Feci un bel respiro e dopo aver ascoltato dissi: «Fatemi capire, raccontatemi tutto, evidenziatemi le problematiche da risolvere, permettetemi di entrare nel lavoro, portatemi in giro a vedere e a conoscere lo spazio e domani mattina faremo il punto su le varie posizioni».
Raccolsi tutti gli interrogativi portati alla mia attenzione dal gruppo di lavoro, ascoltai!
La mia preoccupazione saliva, passo dopo passo insieme allo strano tremolio corporeo prodotto dalla sensazione di emozione e di terrore che ormai si era manifestato anche agli occhi dei miei ciceroni (per fortuna era inverno, la temperatura era sotto zero e tutti pensarono che si trattasse dell’effetto del freddo). Finalmente arrivarono le diciassette e trenta, il cantiere spense le sue vorticose e operose luci, io mi ritirai in albergo e iniziai il mio lavoro alla ricerca di risposte tecnico-operative! Mi ero portato dietro carta, due squadre, una matita, una gomma da cancellare, un paio di libri di tecnologia e l’agenda con i numeri di telefono dei miei vari professori.
Quella notte non dormii!”

Testo tratto dal volume “Simone Micheli From the future to the past”

Didascalia immagine:
Rendering Parco Acque ai Cappuccini

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Un commento Aggiungi il tuo

  1. Morgan ha detto:

    Racconto emozionante, sono cose che i grandi di solito o non le provano o le hanno provate i primi lavori (e nessuno lo dice perchè dimenticano tutto un po’ per stress un po’ per potere). Molti grandi designer ed architetti hanno un folto staff di persone che risolvono problemi, a volte non vedono i problemi e trovano tutto già risolto. E’ stupefacente vedere che anche qualche grande ha le stesse preoccupazioni, angosce e problemi di chi lavora solitario (e che non è una “firm”). Il fatto che sia comune la voglia di raggiungere un’idea di perfezione e coerenza con il progetto iniziale, di non scendere a compromessi e modifiche solo per risolvere dei problemi in maniera veloce, di cercare invece soluzioni consone, difficili da trovare, che tolgono la fame ed il sonno. Poi i conflitti con i fornitori, che remano contro, dando consigli che rovinavano il progetto, che fanno guadagnare di più loro stessi e gli facilitava il suo lavoro, ma rovinava il progetto. Quanta dura lotta per concretizzare un’idea partita su carta ed ancor prima da un concept che solo una mente ha inizializzato. Il risultato finale mostra tutto, quanta dedizione, attenzione in fase di produzione, quello che è lasciato al caso salta fuori. Il risultato non perdona, disattenzioni, accomodamenti, dimenticanze. Quando vedo pubblicato per la prima volta un progetto finito di Micheli sono sempre assalito da stupore per un qualche cosa di nuovo, mai visto prima (non simile ad altri pogetti di altri progettisti). Nel caso della zona piscina dell’Exedra Nice Hotel, ogni volta che vedo le immagini è come la prima volta, rimango sempre a bocca aperta.

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