Finalmente un po’ di sole e finalmente reduce da una giornata al mare con i bambini e Roberta. Sono cresciuto al mare e ritornarci per me è un po’ come tornare a casa: quei colori così familiari, il profumo della salsedine, la sabbia bollente, il rumore delle onde infrante.
Il caos cittadino quotidiano annebbia sempre un po’ i pensieri, li incupisce. Il mare no. Il mare bagna la costa e lava anche un po’ i pensieri, alleggerendoli. In fondo l’uomo è stato in grado di attraversare gli oceani ed affrontare violentissime tempeste pur essendo completamente in mano alla forza della natura per eccellenza: l’acqua. Si è misurato con enormi distese di acqua del tutto prive di qualsiasi vincolo umanamente artificiale. Forse è proprio per questo che riesco a prendere una pausa dal mio alter ego progettuale: la vista del mare è l’unico “foglio vuoto” che basta a se stesso, che non ha bisogno di sovrastrutture o guarnizioni per esser sublime; la mia mente avvezza a progettare, definire e ridefinire può semplicemente godersi il meraviglioso panorama per lo spazio di qualche ora.
E poi, quasi per contrasto, guardo i miei figli giocare con la sabbia e mi intenerisco con i loro semplici tentativi di costruzione e distruzione; il loro fare visibilmente istintivo porta a riflettere su quanto l’uomo sia atavicamente propenso all’atto creativo. Sicuramente in alcuni individui quest’attitudine diventa addirittura vitale prima che pratica quotidiana, tanto da non riuscire mai ad astrarsi completamente dal proprio universo di pilastri e fondamenta. Quindi, terminato il “ristoro marittimo”, eccomi già pienamente proiettato nel mio imminente viaggio di lavoro tra Singapore e Giacarta che offrirà altri mille spunti alla mia sete di creazione.
Il mare dovrà aspettare per un po’!